In questo periodo storico caratterizzato dalla pandemia covid-19, torna alla ribalta il problema della situazione delle carceri italiane e quello della possibile promulgazione di un indulto. Poiché è possibile che esso, se promulgato, sia concesso solo ai soggetti condannati ma riabilitati, l’istituto della riabilitazione torna ad essere di attualità.
Il codice penale prevede che i soggetti condannati possano ottenere la “riabilitazione” cancellando gli effetti penali della condanna e delle pene accessorie per riacquistare così le capacità giuridiche eventualmente perdute ed evitando che, nel caso di successive condanne, siano applicati gli aumenti di pena per i soggetti recidivi.
Ad esempio verranno annullate l’interdizione dai pubblici uffici (artt. 19, 28 e 29 c.p.), da una professione od arte (artt. 30 e 31 c.p.); la perdita o la sospensione dall’esercizio della patria potestà (art. 34 c.p.); la perdita del diritto agli alimenti (art. 433 c.c.) e dei diritti successori verso l’offeso (art. 456 c.c.); sarà impedita la valutazione della condanna agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità e professionalità del reato (art. 106 c.p.) e si otterrà l’estinzione della dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato e della dichiarazione di tendenza a delinquere (art. 109 c.p); il condannato sarà reintegrato nel diritto ad ottenere l’amnistia e l’indulto la cui concessione sia condizionata alla mancanza di precedenti condanne. L’intervenuta riabilitazione restituirà il diritto di elettorato attivo ai condannati ad una pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici nonché il diritto ad ottenere l’autorizzazione all’attività di mediazione di veicoli usati e l’iscrizione nel registro degli esercenti il commercio.
Si sottolinea, tuttavia, che il Giudice potrà sempre valutare i precedenti penali e giudiziari del riabilitato nell’applicare una nuova pena così come, in genere, la sua condotta di vita ai sensi dell’art. 133 c.p.
Nella pratica quotidiana le persone mirano ad ottenere la riabilitazione penale soprattutto per non essere penalizzate nella ricerca di nuovi posti di lavoro o per non permettere di far conoscere agli altri che nel passato si sono commessi reati.
Invero, seppure per lo Stato la sentenza di condanna sarà sempre visibile con accanto l’annotazione che è stata concessa la riabilitazione, per i certificati del casellario giudiziario ad uso dei privati la precedente condanna non sarà più visibile. Dunque condanna e riabilitazione compariranno sul certificato richiesto dagli uffici che esercitano la giurisdizione penale e dagli uffici del pubblico ministero (nonché dal difensore su autorizzazione del giudice procedente) ma non sul certificato richiesto dal privato, da una pubblica amministrazione o da un gestore di pubblico servizio, giacché questi ultimi avranno diritto ad ottenere solo i certificati recanti le iscrizioni che risulterebbero se l’avesse richiesto l’interessato.
L’art. 179 del codice penale specifica le condizioni necessarie perché possa essere richiesta e concessa la riabilitazione:
– devono essere decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta; il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi e di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
-il condannato deve avere dato prove effettive e costanti di buona condotta.
La riabilitazione non può invece essere concessa quando il condannato:
– sia stato sottoposto a misura di sicurezza , ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;
– non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
Un’ipotesi particolare si verifica qualora la condanna sia stata promulgata mediante il cosiddetto patteggiamento, ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. Per tali sentenze, se la pena detentiva non è superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, l’effetto estintivo del reato si produce automaticamente a seguito del decorso del tempo di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, o di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione; si evidenzia che l’estinzione del reato per le sentenze di patteggiamento ha un campo di applicazione ancora più ampio rispetto alla riabilitazione, perchè con l’estinzione del reato si estingue “ogni effetto penale della condanna” e quindi anche le misure interdittive che si vogliono elidere con il procedimento di riabilitazione.
Seppur nel caso di patteggiamento l’estinzione del reato sia automatica, per ottenere la non visibilità della condanna nel casellario giudiziale ad uso dei privati è necessario chiedere al Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale che ha irrogato la condanna l’estinzione del reato.
Per completezza si evidenzia che l’ambito applicativo del patteggiamento è stato ampliato dall’art. 1, L. 12.6.2003, n. 134 talchè oggi si possono “patteggiare” anche pene fino a cinque anni di reclusione, soli o congiunti a pena pecuniaria: in tal caso non vige l’ effetto estintivo del reato previsto solo per le sentenze di applicazione della pena su richiesta non superiore a due anni: ne consegue che per pene “patteggiate” superiori a due anni di reclusione andrà comunque chiesta la riabilitazione.